Kintsugi
Il potere delle cicatrici
Aiko Zushi, esperta di kintsugi e proprietaria di un laboratorio a Torino, ci racconta come la natura può aiutarci a valorizzare le imperfezioni per ritrovare l’armonia.

Ciao Aiko, ci racconti qualcosa di te?
Il mio nome è Aiko Zushi e vengo dalla Prefettura di Yamanashi, in Giappone. Dal 2019 vivo a Torino, dove pratico il kintsugi, una tecnica tradizionale di restauro giapponese per la riparazione di oggetti in ceramica e porcellana.
Come hai iniziato?
Un giorno si ruppe il coperchio di una teiera che mi aveva dato mia madre, volevo ripararla a tutti i costi e così andai dalla maestra di kintsugi Yoko Furuya. Riparando la teiera mi colpirono la bellezza e la profondità di questa tecnica. Non dimenticherò mai la gioia di poterla riutilizzare, ancora oggi è la mia ragione per continuare a praticare il kintsugi.
In cosa consiste il tuo lavoro?
Il kintsugi – kin “oro “, tsugi “riparare” – è una tecnica di riparazione di vasi e ciotole con l’utilizzo della resina urushi, il “sangue” che la pianta produce per guarire le ferite. Davanti a un oggetto rotto ne ricostruisco la forma, e applico la urushi sulle crepe che rifinisco, infine, con polvere d’oro o d’argento. Usare un materiale naturale come la lacca urushi è una tecnica che noi giapponesi ci tramandiamo da migliaia di anni. Purtroppo, però, molte persone pensano che il kintsugi consista nell’incollare i pezzi di una ciotola rotta con colla chimica, colorando le crepe con vernice dorata, metallo fuso o colla di colore oro.



L’arte del kintsugi
Perché proprio l’oro e l’argento?
In origine la maggior parte delle riparazioni veniva eseguite con la tecnica urushi-tsugi, si usava solo la lacca per la finitura e non l’oro. Con lo sviluppo dell’estetica della “contemplazione della bellezza del paesaggio” nelle parti danneggiate si cominciò a usare l’oro sulle crepe e sui graffi. Oro e argento riflettono potentemente la luce facendo risaltare le crepe che così non appaiono come brutti danni, ma come nuovi e bellissimi particolari dell’oggetto.
Non sempre, però, si adattano all’aspetto della ceramica, per questo a volte realizzo una finitura con urushi colorata, cercando di abbinarla al colore e all’aspetto dell’oggetto. Il kintsugi è solo uno dei tipi di riparazione con la lacca urushi, la cosa importante è riparare le crepe in modo che si armonizzino e si integrino con l’oggetto.
Qual è il significato più spirituale del kintsugi?
Fin dai tempi antichi i giapponesi considerano le crepe e le scheggiature di una ciotola un elemento distintivo dell’oggetto, le contemplano come fossero un “paesaggio”; sembra che questa estetica faccia parte della cultura della cerimonia del tè.
La bellezza del kintsugi è la possibilità di recuperare i ricordi che ci legano a un oggetto per tornare a usarlo. Tutti i materiali usati (urushi, farina di grano, farina di riso, terra, legno, polvere di cotone, polvere d’oro, ecc.) sono elementi naturali; dopo molto tempo anche per gli oggetti riparati con il kintsugi arriverà la fine, è bello immaginare che tutti questi elementi torneranno alla terra e saranno di nuovo parte della natura.

Cosa significano le imperfezioni per te?
Le crepe e le macchie di una ciotola sono parte della sua storia; in Giappone si crede che anche gli oggetti abbiano un’anima, penso che le imperfezioni vadano amate come tratti distintivi.
Non sempre riparo le crepe, come per questo piatto realizzato in Giappone circa 400 anni fa; si è rotto durante la cottura nel forno generando quella che si chiama una “crepa da forno”, un segno della sua lunga storia. Il bello del kintsugi è anche quello di accettare le imperfezioni senza cercare di eliminarle tutti i costi.



Qual è la reazione dei tuoi clienti?
Mi rende felice osservare i clienti mentre accolgono con sorpresa e gioia l’oggetto finito.
Riparare un oggetto con questa tecnica richiede tempo o un approccio particolare?
Sì, ci vuole molto tempo, ma può essere un’esperienza meravigliosa. La lacca urushi ha proprietà particolari e si indurisce a una certa umidità, quindi, potrebbero volerci mesi. Anche questo aspetto costituisce la bellezza del kintsugi: assaporare il cambiamento di stagione in stagione, concentrarsi su un oggetto, lavorare sulle sue “ferite” e ripararle a poco a poco. Non è semplice padroneggiare le tecniche del kintsugi tradizionale, ma con tanta pratica, pazienza e determinazione costante è possibile arrivare a padroneggiare le tecniche più raffinate.

Production: Giorgia Ribaldone e Sara Zampirollo
Words: Eleonora Rollo e Aiko Zushi
Photographer: Chiara Fontanot
Mua: Sara Zampirollo
Model: Thily Procacci
Kintsugi
Il potere delle cicatrici
Aiko Zushi, esperta di kintsugi e proprietaria di un laboratorio a Torino, ci racconta come la natura può aiutarci a valorizzare le imperfezioni per ritrovare l’armonia.

Ciao Aiko, ci racconti qualcosa di te?
Il mio nome è Aiko Zushi e vengo dalla Prefettura di Yamanashi, in Giappone. Dal 2019 vivo a Torino, dove pratico il kintsugi, una tecnica tradizionale di restauro giapponese per la riparazione di oggetti in ceramica e porcellana.
Come hai iniziato?
Un giorno si ruppe il coperchio di una teiera che mi aveva dato mia madre, volevo ripararla a tutti i costi e così andai dalla maestra di kintsugi Yoko Furuya. Riparando la teiera mi colpirono la bellezza e la profondità di questa tecnica. Non dimenticherò mai la gioia di poterla riutilizzare, ancora oggi è la mia ragione per continuare a praticare il kintsugi.
In cosa consiste il tuo lavoro?
Il kintsugi – kin “oro “, tsugi “riparare” – è una tecnica di riparazione di vasi e ciotole con l’utilizzo della resina urushi, il “sangue” che la pianta produce per guarire le ferite. Davanti a un oggetto rotto ne ricostruisco la forma, e applico la urushi sulle crepe che rifinisco, infine, con polvere d’oro o d’argento. Usare un materiale naturale come la lacca urushi è una tecnica che noi giapponesi ci tramandiamo da migliaia di anni. Purtroppo, però, molte persone pensano che il kintsugi consista nell’incollare i pezzi di una ciotola rotta con colla chimica, colorando le crepe con vernice dorata, metallo fuso o colla di colore oro.



L’arte del kintsugi
Perché proprio l’oro e l’argento?
In origine la maggior parte delle riparazioni veniva eseguite con la tecnica urushi-tsugi, si usava solo la lacca per la finitura e non l’oro. Con lo sviluppo dell’estetica della “contemplazione della bellezza del paesaggio” nelle parti danneggiate si cominciò a usare l’oro sulle crepe e sui graffi. Oro e argento riflettono potentemente la luce facendo risaltare le crepe che così non appaiono come brutti danni, ma come nuovi e bellissimi particolari dell’oggetto.
Non sempre, però, si adattano all’aspetto della ceramica, per questo a volte realizzo una finitura con urushi colorata, cercando di abbinarla al colore e all’aspetto dell’oggetto. Il kintsugi è solo uno dei tipi di riparazione con la lacca urushi, la cosa importante è riparare le crepe in modo che si armonizzino e si integrino con l’oggetto.
Qual è il significato più spirituale del kintsugi?
Fin dai tempi antichi i giapponesi considerano le crepe e le scheggiature di una ciotola un elemento distintivo dell’oggetto, le contemplano come fossero un “paesaggio”; sembra che questa estetica faccia parte della cultura della cerimonia del tè.
La bellezza del kintsugi è la possibilità di recuperare i ricordi che ci legano a un oggetto per tornare a usarlo. Tutti i materiali usati (urushi, farina di grano, farina di riso, terra, legno, polvere di cotone, polvere d’oro, ecc.) sono elementi naturali; dopo molto tempo anche per gli oggetti riparati con il kintsugi arriverà la fine, è bello immaginare che tutti questi elementi torneranno alla terra e saranno di nuovo parte della natura.

Cosa significano le imperfezioni per te?
Le crepe e le macchie di una ciotola sono parte della sua storia; in Giappone si crede che anche gli oggetti abbiano un’anima, penso che le imperfezioni vadano amate come tratti distintivi.
Non sempre riparo le crepe, come per questo piatto realizzato in Giappone circa 400 anni fa; si è rotto durante la cottura nel forno generando quella che si chiama una “crepa da forno”, un segno della sua lunga storia. Il bello del kintsugi è anche quello di accettare le imperfezioni senza cercare di eliminarle tutti i costi.



Qual è la reazione dei tuoi clienti?
Mi rende felice osservare i clienti mentre accolgono con sorpresa e gioia l’oggetto finito.
Riparare un oggetto con questa tecnica richiede tempo o un approccio particolare?
Sì, ci vuole molto tempo, ma può essere un’esperienza meravigliosa. La lacca urushi ha proprietà particolari e si indurisce a una certa umidità, quindi, potrebbero volerci mesi. Anche questo aspetto costituisce la bellezza del kintsugi: assaporare il cambiamento di stagione in stagione, concentrarsi su un oggetto, lavorare sulle sue “ferite” e ripararle a poco a poco. Non è semplice padroneggiare le tecniche del kintsugi tradizionale, ma con tanta pratica, pazienza e determinazione costante è possibile arrivare a padroneggiare le tecniche più raffinate.

Art Director: Giorgia Ribaldone e Sara Zampirollo
Words: Eleonora Rollo e Aiko Zushi
Photographer: Chiara Fontanot
Mua: Sara Zampirollo
Model: Thily Procacci
Kintsugi
Il potere delle cicatrici
Aiko Zushi, esperta di kintsugi e proprietaria di un laboratorio a Torino in cui insegna come praticare questa arte, oggi ci racconta come la natura può aiutarci a valorizzare le imperfezioni per ritrovare l’armonia.

Ciao Aiko, ci racconti qualcosa di te?
Il mio nome è Aiko Zushi e vengo dalla Prefettura di Yamanashi, in Giappone. Dal 2019 vivo a Torino, dove pratico il kintsugi, una tecnica tradizionale di restauro giapponese per la riparazione di oggetti in ceramica e porcellana.
Come hai iniziato?
Un giorno si ruppe il coperchio di una teiera che mi aveva dato mia madre, volevo ripararla a tutti i costi e così andai dalla maestra di kintsugi Yoko Furuya. Riparando la teiera mi colpirono la bellezza e la profondità di questa tecnica. Non dimenticherò mai la gioia di poterla riutilizzare, ancora oggi è la mia ragione per continuare a praticare il kintsugi.
In cosa consiste il tuo lavoro?
Il kintsugi – kin “oro “, tsugi “riparare” – è una tecnica di riparazione di vasi e ciotole con l’utilizzo della resina urushi, il “sangue” che la pianta produce per guarire le ferite. Davanti a un oggetto rotto ne ricostruisco la forma, e applico la urushi sulle crepe che rifinisco, infine, con polvere d’oro o d’argento. Usare un materiale naturale come la lacca urushi è una tecnica che noi giapponesi ci tramandiamo da migliaia di anni. Purtroppo, però, molte persone pensano che il kintsugi consista nell’incollare i pezzi di una ciotola rotta con colla chimica, colorando le crepe con vernice dorata, metallo fuso o colla di colore oro.



L’arte del kintsugi
Perché proprio l’oro e l’argento?
In origine la maggior parte delle riparazioni veniva eseguite con la tecnica urushi-tsugi, si usava solo la lacca per la finitura e non l’oro. Con lo sviluppo dell’estetica della “contemplazione della bellezza del paesaggio” nelle parti danneggiate si cominciò a usare l’oro sulle crepe e sui graffi. Oro e argento riflettono potentemente la luce facendo risaltare le crepe che così non appaiono come brutti danni, ma come nuovi e bellissimi particolari dell’oggetto.
Non sempre, però, si adattano all’aspetto della ceramica, per questo a volte realizzo una finitura con urushi colorata, cercando di abbinarla al colore e all’aspetto dell’oggetto. Il kintsugi è solo uno dei tipi di riparazione con la lacca urushi, la cosa importante è riparare le crepe in modo che si armonizzino e si integrino con l’oggetto.
Qual è il significato più spirituale del kintsugi?
Fin dai tempi antichi i giapponesi considerano le crepe e le scheggiature di una ciotola un elemento distintivo dell’oggetto, le contemplano come fossero un “paesaggio”; sembra che questa estetica faccia parte della cultura della cerimonia del tè.
La bellezza del kintsugi è la possibilità di recuperare i ricordi che ci legano a un oggetto per tornare a usarlo. Tutti i materiali usati (urushi, farina di grano, farina di riso, terra, legno, polvere di cotone, polvere d’oro, ecc.) sono elementi naturali; dopo molto tempo anche per gli oggetti riparati con il kintsugi arriverà la fine, è bello immaginare che tutti questi elementi torneranno alla terra e saranno di nuovo parte della natura.

Cosa significano le imperfezioni per te?
Le crepe e le macchie di una ciotola sono parte della sua storia; in Giappone si crede che anche gli oggetti abbiano un’anima, penso che le imperfezioni vadano amate come tratti distintivi.
Non sempre riparo le crepe, come per questo piatto realizzato in Giappone circa 400 anni fa; si è rotto durante la cottura nel forno generando quella che si chiama una “crepa da forno”, un segno della sua lunga storia. Il bello del kintsugi è anche quello di accettare le imperfezioni senza cercare di eliminarle a tutti i costi.


Qual è la reazione dei tuoi clienti?
Mi rende felice osservare i clienti mentre accolgono con sorpresa e gioia l’oggetto finito.
Riparare un oggetto con questa tecnica richiede tempo o un approccio particolare?
Sì, ci vuole molto tempo, ma può essere un’esperienza meravigliosa. La lacca urushi ha proprietà particolari e si indurisce a una certa umidità, quindi, potrebbero volerci mesi. Anche questo aspetto costituisce la bellezza del kintsugi: assaporare il cambiamento di stagione in stagione, concentrarsi su un oggetto, lavorare sulle sue “ferite” e ripararle a poco a poco. Non è semplice padroneggiare le tecniche del kintsugi tradizionale, ma con tanta pratica, pazienza e determinazione costante è possibile arrivare a padroneggiare le tecniche più raffinate.

Art Director: Giorgia Ribaldone e Sara Zampirollo
Words: Eleonora Rollo e Aiko Zushi
Photographer: Chiara Fontanot
Mua: Sara Zampirollo
Model: Thily Procacci